lunedì 9 maggio 2011

Il nucleare in Italia

Lo spunto per questo post l'ho avuto stamattina leggendo il giornale (Repubblica) in cui c'era un articolo sulle proteste di Greenpeace contro il treno carico di scorie nucleari partito da Saluggia e diretto in Gran Bretagna. Già a febbraio (o gennaio, sinceramente non mi ricordo bene) c'erano state delle proteste analoghe che portarono a violente cariche della polizia contro i manifestanti, con annessa caccia all'uomo nei boschi e arresti.

Quello delle scorie è uno degli aspetti più preoccupanti dell'energia atomica e, "stranamente", è anche anche uno dei meno trattati. La cosa non è casuale, visto che si tratta di un problema virtualmente eterno cui nessun paese è riuscito a trovare una soluzione, anche solo temporanea. Oltre al combustibile nucleare (generalmente uranio 235) più o meno esausto e ai sottoprodotti della fissione (rifiuti altamente radioattivi di categoria III), sono considerati come scorie (categoria I e II) anche tutti quei materiali che sono entrati a contatto con la radioattività, come le tute dei tecnici nucleari.

Nonostante la chiusura delle centrali nucleari italiane dopo il referendum del 1987 anche il Belpaese possiede un quantitativo non indifferente di queste scorie, che al momento si trovano in sette siti. I primi quattro coincidono con le centrali che furono operative. Per esempio nella centrale di Garigliano (chiusa nel 1978 per "problemi"...) si trovano ancora 2200 metri cubi di scorie, mentre a Latina i metri cubi sono 900. A Trino Vercellese, riconvertita a centrale a turbogas, abbiamo 780 metri cubi di scorie e 47 elementi di combustibile irraggiato, pari a 14, 3 tonnellate, mentre a Caorso (provincia di Piacenza) le scorie ammontano a circa 1880 metri cubi, cui vanno aggiunte 187 tonnellate di combustibile. Varrebbe la pena ricordare che a Caorso lavorano ancora più di cento dipendenti, nonostante la centrale sia stata chiusa nel 1987. Ufficialmente sono stati assunti per lo smantellamento della stessa, operazione che è cominciata solo recentemente e i cui costi vengono pagati attraverso ogni bolletta ENEL. Intanto però continuiamo a credere a chi ci dice che le bollette sono alte a causa delle importazioni di petrolio e di gas (omettendo sempre di dire che la Francia, nonostante 55 impianti attivi, importa più greggio di noi...).

Esistono poi altri tre siti, in cui vengono stoccati rifiuti radioattivi ad alta pericolosità per un totale di ulteriori 235 tonnellate, che si trovano a Trisaia (Basilicata), Casaccia (Lazio) e Saluggia (Piemonte). Tutti i siti sono abbastanza critici, in quanto il primo si trova in una zona a sismicità medio-alta, il secondo si trova alle porte di una metropoli come Roma, mentre il terzo si trova in una zona soggetta alle esondazioni della Dora Baltea. Insomma, abbastanza per non dormire sonni troppo tranquilli. Questi depositi, così come le centrali, sono proprietà della Sogin S.p.A, azienda che viene finanziata, ricordiamolo, principalmente dalla componente degli oneri generali del sistema elettrico italiano presente nelle bollette ENEL.

Mi rendo conto che l'argomento è estremamente vasto e che trattarlo in un blog può essere riduttivo, senza contare il rischio di essere eccessivamente sintetici. Prometto però di tornare sull'argomento con altri post - devo scappare a lavorare e sono già in ritardo - magari più corposi e ponderati. Intanto vi lascio con questa puntata di Report. Meditate gente!

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