domenica 24 giugno 2012

Odore di terra


L'urbanizzazione ha fatto sì, tra le tante altre cose, che il cittadino, qui inteso come uomo abitante della città, abbia subito un distacco quasi totale dalla terra. Questa affermazione diventa tanto più vera se si pensa che nelle grandi città è difficile trovare un bambino che abbia visto dal vivo una gallina o una mucca. Gli unici che hanno ancora un rapporto sano con la terra sono i nostri vecchi, quelli che, dopo aver abbandonato le campagne o le montagne per trasferirsi nei grandi - o piccoli - agglomerati urbani, hanno continuato a coltivare piccoli appezzamenti di terra nel giardino di casa. 

Tra di loro c'era anche mio nonno. Buona parte dei ricordi della mia infanzia sono collegati alla sua figura intenta a lavorare nell'orto mentre controllava il grado di maturazione di pomodori e zucchine reggendo tra le sue forti mani da muratore una vanga. Mi ricordo anche il sapore delle verdure che coltivava, un sapore che non si può ritrovare in quelle acquistate al supermercato, così insipide da sembrare quasi finte. Bene, da ieri il testimone è passato nelle mie mani. Dopo anni di incuria quel piccolo pezzo di mondo contadino assediato dal cemento ha un nuovo guardiano, il sottoscritto. Certo, è faticoso. Dissodare le zolle sotto il solleone, eliminare le erbacce a mani nude (già, ho scordato i guanti!), sporcarsi di terra da capo a piedi possono sembrare attività poco attraenti e molto poco appaganti. Di sicuro non è un qualcosa che può aiutare a far colpo su di una ragazza, tuttavia secondo me è una delle cose più belle del mondo. Si tratta di un ritorno alle origini, di un riprendere contatto con quella che è al tempo stesso la nostra casa e la nostra genitrice. Si tratta di assistere ogni volta allo spettacolo del seme che si trasforma in germoglio che a sua volta si trasforma in pianta fruttifera. Si tratta di instaurare nuovamente un rapporto che negli ultimi secoli è andato sempre più deteriorandosi... perchè soltanto un uomo che non ha mai conosciuto la terra può accettare passivamente la distruzione del pianeta in nome di un sedicente "progresso".

domenica 17 giugno 2012

Pane e vino

Per un motivo o per l'altro, o per una serie di fortuite coincidenze (anche se il sottoscritto non è molto propenso a credere all'esistenza delle stesse), la mia carriera lavorativa è sempre stata collegata alla produzione di cibo. Ho lavorato nei campi, raccogliendo mele e uva, ho imbottigliato acqua minerale, vino, birra, ho confezionato pane e derivati.

Apparentemente non è nulla di diverso dal lavoro in catena, fatto di gesti codificati ripetuti all'infinito, fino a perdere qualsiasi significato, fino a diventare alienanti. Eppure, quando si ha a che fare con il cibo, il tutto assume una valenza completamente diversa: quello che ti passa tra le mani non è un oggetto inerte come può essere un cacciavite o un componente elettronico, bensì vita, fonte di nutrimento per altre persone. Inoltre panificazione e vinificazione sono attività antiche come la civiltà stessa, anzi, sono l'essenza stessa della civiltà. Attività che nel corso dei secoli e dei millenni si sono trasformate e modernizzate, fino a perdere la loro funzione primaria, quella di sfamare, per diventare fonte di profitto. Ed è proprio qui che iniziano i problemi, visto che produzione industriale significa anche scartare tutto ciò che non risponde agli standard, tutti i prodotti troppo piccoli o troppo grandi, quelli troppo cotti, eccetera. Nel momento in cui lo scarto può essere riutilizzato, come ad esempio in una acciaieria o in una vetreria, non vengono a crearsi grosse problematiche; tuttavia destinare tonnellate di pane e altri alimenti alla distruzione, nel momento in cui milioni di individui non hanno di che sfamarsi, è un vero e proprio crimine contro l'umanità.


Ps. Chiedo scusa per eventuali errori/sviste, ma i turni di notte mi mandano in pappa il cervello...