Piccola riflessione in velocità aspettando che lunedì mi ritorni la connessione. Nella sua opera "Le suicide. Étude de sociologie", Emile Durkheim sostiene che il suicidio è un segno di insuccesso della società. Per rendersi conto di quanto questa affermazione è intrinsecamente vera basta dare un'occhiata ai vari quotidiani nazionali oppure, se vogliamo spaziare su di un orizzonte più ampio, alle statistiche sui suicidi in Grecia o in Cina.
Nel paese ellenico, schiacciato dalla recessione e massacrato dalle manovre economiche imposte dalla BCE, il tasso di suicidi tra i cittadini adulti è aumentato nel 2011 di circa il 40% rispetto all'anno precedente. A dirlo è lo stesso ministero della Salute di Atene, i cui dati sono stati ripresi tanto dal Wall Street Journal, quanto dal Corriere della Sera. In Cina, invece, troviamo il caso emblematico della Foxconn, società che produce tra le altre cose gli Iphone e gli Ipad - i nuovi status symbol per il giovane occidentale che non deve chiedere mai - per conto della Apple, divenuta tristemente famosa per l'incredibile tasso di suicidi tra i propri dipendenti. Nonostante l'azienda sia "corsa ai ripari", facendo firmare a tutti i lavoratori una impegnativa in cui questi promettevano di non suicidarsi, quest'anno a gennaio ben trecento operai hanno minacciato di gettarsi dal tetto dello stabilimento di Wuhan. Riporto* quanto scritto dal Corriere della Sera per descrivere al meglio la situazione:
Stando a quanto riferito dagli attivisti del gruppo per i diritti umani China Jasmine Revolution, la disputa è scoppiata all'inizio dell'anno, a seguito della richiesta di un aumento di stipendio per 100 dipendenti dell'impianto di Wuhan, capoluogo della provincia centrale dell'Hubei. La paga mensile di un operaio si aggira infatti intorno ai 2 mila yuan al mese, equivalenti all'incirca a 245 euro. Foxconn avrebbe risposto alla loro richiesta lanciando un ultimatum: i lavoratori potevano dimettersi con una buonuscita di mese di stipendio per ogni anno lavorato nell'azienda o tornare al lavoro. Molti dipendenti avrebbero quindi lasciato il posto, senza però ottenere quanto promesso. A quel punto, il 3 gennaio, 300 operai sono saliti sul tetto dello stabilimento, minacciando il suicidio. «Ci sentiamo senza prospettive, per questo abbiamo minacciato il suicidio di massa», ha raccontato al Telegraph un operaio.
Scavando un po' al di sotto della superficie di queste notizie di cronaca, possiamo giungere a determinate conclusioni. In Europa l'interruttore che può far scattare il suicidio in un disoccupato è la sistematica delusione delle aspettative che la società ripone nel singolo individuo. Pensiamoci bene: quando un uomo è considerato un vincente o comunque una parte vitale del tessuto sociale? Semplice, quando lavora e quando riesce a mantenere se stesso e la sua famiglia senza dover ricorrere all'aiuto di persone o enti esterni al proprio nucleo familiare. La perdita del lavoro e dell'indipendenza economica è quindi vissuta come una vera e propria umiliazione, il cui peso può diventare insostenibile. In Cina, e negli altri paesi dove solitamente le aziende occidentali delocalizzano la produzione, a uccidere sono le condizioni di lavoro insostenibili e le tutele pressoché assenti. Uno scenario che ricorda da vicino quello dell'Inghilterra durante la rivoluzione industriale, fatto di salari ridotti all'osso, lavoro massacrante e alienazione: quanto basta per togliere la voglia di vivere a qualsiasi individuo.
E in Italia? Purtroppo non sono riuscito a trovare dati recenti, ma spulciando sulla rete sono comunque riuscito a racimolare qualche informazione interessante. Da uno studio dell'Eures, intitolato "Il suicidio in Italia al tempo della crisi. Caratteristiche, evoluzioni e tendenze", si può evincere come nel 2009, anno in cui la crisi economico-finanziaria ha iniziato a farsi sentire anche nel Belpaese, i suicidi siano aumentati di quasi il 6% rispetto al 2008. Ora, considerando il peggioramento globale delle condizioni di vita dei salariati italiani e l'aumento spropositato del costo della vita, è difficile riuscire a sperare in una inversione di tendenza, anzi, è molto più probabile che questo aumento sia cresciuto progressivamente con il passare degli anni.
Torniamo, per concludere, a Durkheim. Pare abbastanza chiaro che il modello socio-economico capitalista, basato sullo sfruttamento tanto degli esseri viventi (umani e non), quanto della Natura e delle sue risorse, in nome del profitto e dell'accumulazione di capitale, stia mostrando ancora una volta il suo vero volto, oltre a palesare la sua inefficacia come modello perfetto e massima aspirazione per il genere umano. Il sistema capitalista è piuttosto, per usare le parole di Bauman che a sua volta cita Rosa Luxemburg, un sistema parassitario. E da che mondo è mondo i parassiti vanno debellati.
*Ho deciso di non inserire più i link degli articoli della stampa italiana per una serie di motivi che spiegherò meglio in un articolo a parte.
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