mercoledì 29 febbraio 2012

Un patrimonio che cade a pezzi

Il patrimonio artistico e culturale italiano è, con i suoi quarantasette siti Unesco, oltre tremila musei e più di duemila tra siti ed aree archeologiche, uno dei più vasti e variegati al mondo. Opere e reperti che si possono collocare su di un arco temporale che va dalla preistoria ai giorni nostri e che potrebbero richiamare milioni e milioni di visitatori ogni anno, se solo fossero valorizzati abbastanza.

Lo spunto per scrivere questo post mi è venuto leggendo un articolo comparso ieri sull'edizione online del Corriere della Sera, in cui vengono descritte le condizioni vergognose in cui versa la necropoli etrusca di Cerveteri. Sintetizzando al massimo, per chi non avesse voglia di leggersi tutto l'articolo, si può tranquillamente affermare che il sito archeologico è praticamente abbandonato a sè stesso e al saccheggio dei tombaroli (con la copertura, nemmeno troppo velata, di parte degli apparati di governo locale), mentre il numero dei turisti è in costante calo, nonostante la vicinanza ad un porto importante come Civitavecchia e la tutela Unesco del 2004. 

Purtroppo non si tratta di un caso isolato, come ci dimostrano i continui crolli di Pompei, ma di una situazione gravissima ed endemica su (quasi) tutto il territorio nazionale. Laddove non è l'incuria a fare danni, ci si mette la speculazione edilizia, come nel caso della necropoli punica di Tuxiveddu a Cagliari, la più grande ancora esistente, che corre il serio rischio di essere sepolta da una colata di cemento. Oppure le discutibili modalità di restauro, come per il Colosseo, dove pare che ad effettuare i lavori non saranno i restauratori ma semplici operai edili (nulla togliere ai muratori, visto che mio nonno lo è stato per tutta la vita). Infine c'è anche la sordità della politica e tra i tanti esempi che si potrebbero fare ne scelgo due che ho ad un tiro di schioppo da casa: la Certosa di Calci e le navi romane di Pisa. La prima cade letteralmente a pezzi, mentre le altre sono da anni nel limbo della mancanza di fondi e, nonostante diverse sollecitazioni, nessun ministro competente si è mai occupato di loro. Questo giusto per fare qualche esempio, visto che per fare un elenco di tutte le situazioni di questo tipo ci vorrebbe una vita intera.

Sembra incredibile, ma anche quando si fa qualcosa di sensato c'è sempre qualcuno pronto a lamentarsi, come nel caso della teca dell'Ara Pacis. L'opera di Meier può non piacere dal punto di vista soggettivo, ma non si può negare la sua utilità nel preservare un bene archeologico, vista la quantità di veicoli che transita per il Lungotevere.

Qualcuno dirà che con la crisi in atto ci sono ben altri problemi e altre priorità. Perfetto, però pensate un attimo a quanti posti di lavoro si potrebbero creare, soprattutto in aree economicamente depresse, come il Mezzogiorno e le isole. Occupazione che non rischierebbe di venire meno con una delocalizzazione e che aiuterebbe lo sviluppo delle comunità locali. Invece no, meglio scavare tunnel che porteranno ricchezza ai soliti noti e comprare bombardieri di ultima generazione.

lunedì 27 febbraio 2012

Due secondi di libero sfogo

Manganelli lo aveva detto che in val di Susa si sta cercando il morto, dimenticandosi però di specificare da che parte. Come se non fossero bastati i sassi lanciati dai cavalcavia sui manifestanti, i lacrimogeni ad altezza d'uomo e dentro i vagoni oppure le cariche in stazione a Torino, a spiegarlo ulteriormente c'è quello che è successo oggi durante il blitz per allargare il non-cantiere. Lo spiegano in maniera piuttosto eloquente il volo di Luca da venti metri di altezza, il ritardo criminale nei soccorsi e il comunicato abbastanza delirante della Questura di Torino, che non concorda minimamente con quanto detto da Luca a Radio Blackout. Ma d'altra parte si sa, quando c'è di mezzo la polizia italiana c'è sempre il rischio concreto di scivolare...dalle scale o da una finestra della Questura...

Come se non fosse sufficiente questo a farmi imbestialire ci si mettono pure i soliti idioti sui social network, con commenti pregni di significato come "andasse a lavorare". A voi consiglio con tutto il cuore una buona lettura della Divina Commedia: gli ignavi non fanno una bella fine.

mercoledì 22 febbraio 2012

Geni e discriminazione

La paura e l'ostilità nei confronti del diverso hanno accompagnato l'umanità sin dalla notte dei tempi, basti pensare al concetto di "bàrbaros" tipico della grecità e della cultura classica, o alla "limpieza de sangre" tanto cara alla corona spagnola del quindicesimo e sedicesimo secolo, fino ad arrivare ai nostri giorni. Nel corso della storia sono esistite ed esistono tuttora diversi tipi di discriminazione: in base all'orientamento sessuale, in base all'appartenenza etnica o religiosa e in base al genere. Negli USA, che sono sempre all'avanguardia in tutto, ne è emersa una nuova forma, altrettanto subdola e vigliacca: la discriminazione su base genetica.

La vicenda di Pamela Fink, raccontata in questo articolo, è paradigmatica. La donna, infatti, sarebbe stata licenziata dopo aver rivelato ai suoi datori di lavoro l'esito di un test genetico che evidenziava la sua predisposizione al cancro al seno. Sia ben chiaro che la predisposizione ad una malattia non implica in alcun modo la certezza matematica dell'insorgere della stessa, ma soltanto una probabilità più alta di svilupparla rispetto ad un individuo non predisposto. Purtroppo pare che non si tratti di un caso isolato, visto che la relazione annuale dell'Equal Employment Opportunity Commission parla di ben 245 casi di discriminazione genetica avvenuti nel 2011, con un aumento del 20% rispetto all'anno precedente. Un trend molto poco incoraggiante, nonostante l'entrata in vigore del Genetic Information Nondiscrimination Act (GINA) del 2008 che dovrebbe appunto tutelare i lavoratori da discriminazioni di questo tipo.

La notizia mi ha fatto ricordare un corso di filosofia morale che ho seguito in quel di Trento, quando ero ancora un giovincello entusiasta che riteneva l'università un luogo di cultura, crescita e libero scambio di idee. Tale corso era incentrato sulla bioetica e in una lezione si parlò proprio di questo argomento, visto che solleva problemi di tipo etico-morale non indifferenti. In primo luogo, che fare se un giorno lo screening genetico venisse assimilato al narcotest diventando così conditio sine qua non per poter ottenere un qualsiasi posto di lavoro? Io non sono certo di voler sapere se il mio corredo genetico aumenta il rischio che possa contrarre questa o quella malattia, visto che conoscendomi potrei cadere nel tunnel senza uscita dell'ipocondria. 

In secondo luogo, come può il futuro di un individuo dipendere da una probabilità statistica che non sarà mai indice di certezza assoluta? Nulla prova che una persona con un profilo biologico X sia un lavoratore migliore o peggiore di chi possiede un profilo Y o Z. L'unica differenza sta nel fatto che, qualora insorgesse una malattia, l'azienda sarebbe costretta a sostenere diverse spese accessorie: la selezione a monte diventa, quindi, una forma di tutela per l'azienda e i suoi profitti. Poco importa se il lavoratore rimane in mezzo alla strada.

Gli scenari che si profilano all'orizzonte sono decisamente inquietanti. Quanto sta accadendo in America sembra quasi un rewind delle teorie lombrosiane, in cui la fisiognomica è stata sostituita dalla genetica, dove sono i geni a stabilire se una persona potrà avere un lavoro ed entrare a far parte della comunità o se sarà destinata ad essere un paria. In sostanza una nuova forma di classismo basata sul DNA senza possibilità di riscatto per coloro che si ritroveranno, loro malgrado, nelle classi più basse. A questo punto sorge spontanea una domanda, ancora più inquietante della premessa, ovvero che ne sarà di tutti quegli individui che saranno giudicati improduttivi in una società del genere? La futura elite vorrà accollarsi i costi per il mantenimento degli individui giudicati - dal loro punto di vista - biologicamente inferiori o ci sarà una nuova folle corsa verso l'eugenetica?

venerdì 17 febbraio 2012

Una ricca, ricchissima busta paga

Due giorni fa, il 15 febbraio a voler essere puntigliosi,  mi è arrivata la prima busta paga del 2012: un evento con la "E" maiuscola. Con mano tremante apro l'email e scopro che, noleggiando la mia forza lavoro in fabbrica, ho guadagnato la bellezza di sessantacinque euro e cinquantaquattro centesimi: roba da tartine al caviale e Dom Pèrignon del 1917 a ruota libera. Purtroppo i miei sogni di gloria sono stati prematuramente uccisi da una bolletta dell'Enel. Riposate in pace.

Sia ben chiaro che, visto la situazione economica sempre più nera, non ho la minima intenzione di lamentarmi, visto che ho la fortuna di lavorare "dignitosamente", seppur ad ogni morte di Papa. Tuttavia il diritto a sfogarmi non me lo può levare nessuno, visto che, a sentire le ultime dichiarazioni di diversi membri del governo circa l'italica gioventù, i trabocchi di bile sono stati all'ordine del giorno. A quanto pare, infatti, siamo una massa di amebe senza spina dorsale, incapaci di vivere lontani da mamma e papà. Al di là del fatto che non mi riconosco in una descrizione del genere, trovo abbastanza ipocrita che a sputare sentenze di questo tipo siano gli stessi che hanno sistemato i propri figli nelle banche e negli atenei da loro gestiti. Alla faccia della tanto decantata meritocrazia! Ah, dimenticavo, questa esiste - solo di facciata of course - solo per i figli del comune cittadino, gli stessi che corrono da un co.co.pro all'altro e si spaccano la schiena in fabbrica a cinque euro l'ora per pagarsi l'università (pubblica ovviamente, non sia mai che un figlio di operaio entri alla Bocconi) o l'affitto di una casa condivisa con altre quattro persone. Già, siamo proprio un branco di buoni a nulla. Io però una cosa la so fare: preparare le valigie e mandarvi a fare in culo.

martedì 14 febbraio 2012

Due parole sulla situazione greca

Il 12 febbraio è stata per Atene, e per tutta la Grecia, una giornata di fuoco. Mentre nel parlamento ellenico veniva discussa e votata l'ennesima richiesta di sangue e sacrifici da parte del popolo greco, le strade di Atene e di molte altre città, come Salonicco, Patrasso e Iraklion, erano gremite da decine e decine di migliaia di persone: militanti, famiglie, ex partigiani come Manolis Glezos, uniti per ribadire il loro "no" alle imposizioni della BCE.

La stampa italiana non ha perso occasione per ribadire la propria pochezza tirando in ballo i soliti black bloc, ormai divenuti i responsabili di ogni nefandezza in qualunque angolo del globo. Cosa molto poco credibile guardando la folla che per ore e ore ha occupato piazza Syntagma, ma d'altra parte si sa, è molto meglio far credere al pavido cittadino modello che le strade sono invase da orde di blecche blocche violenti, ormai divenuti l'equivalente dell'uomo nero per tutti i cittadini rispettabili e timorati di Dio, piuttosto che parlare di un popolo che ormai ne ha le tasche piene di continui sacrifici.

Già l'anno passato i greci hanno dovuto sopportare una serie di misure di vera e propria macelleria sociale, a partire dai licenziamenti di massa, dai tagli alle pensioni e ai salari (con un perdita del potere di acquisto di circa il 20%), dai tagli alla sanità (circa il 40%) fino ad arrivare a privatizzazioni selvagge. Tutto questo ha fatto schizzare la disoccupazione al 20%, con punte del 50% tra i giovani, e ha gettato il 30% della popolazione ellenica in una condizione di povertà. Misure che al sottoscritto ricordano in parte quelle del governo italiano...

Il piano votato domenica notte prevede tra le altre cose un ulteriore abbassamento del salario minimo pari al 22%, il licenziamento di 150.000 dipendenti pubblici entro il 2015 e circa 50 miliardi di euro di ulteriori privatizzazioni. Un ulteriore intervento sulle pensioni è stato evitato tagliando di 300 milioni di euro il budget delle spese militare, anche se, come ci rivela il Corriere, queste subiranno un aumento di oltre il 18% rispetto al 2011, arrivando così a bruciare il 3% del PIL greco.

La popolazione è allo stremo, tanto che ancora nel primo semestre del 2011 il numero dei suicidi è aumentato di oltre il 40%, mentre il numero dei cittadini che si rivolgono ai centri medici delle ONG sono aumentati del 30%, quando nel periodo pre-crisi il numero delle richieste era appena il 4% del totale. Non è un caso, quindi, che di fronte allo sfacelo del sistema sanitario greco, siano proprio i lavoratori di questo settore a portare avanti nuove forme di lotta: l'ospedale di Kirkis, infatti, è stato occupato ed è autogestito dall'assemblea generale dei lavoratori.


venerdì 3 febbraio 2012

La monotonia del posto fisso

Noi italiani siamo davvero fortunati, eppure tendiamo a non rendercene conto; abbiamo tutta una serie di menti eccelse che, per puro spirito filantropico, si impegnano quotidianamente per evitare che le nostre vite siano monotone e noiose.
Perchè abbruttirsi con un posto di lavoro fisso quando puoi provare l'ebrezza di convivere con la spada di Damocle del rinnovo del contratto a termine? Per non parlare di quelle fantastiche giornate spese a distribuire curricula a destra e manca. E poi vogliamo parlare dei brividi che ti salgono lungo la schiena quando ti ritrovi con tre euro in tasca, il frigo vergognosamente vuoto e l'affitto da pagare?
Una vita così eccitante se la sognano nel resto d'Europa, siamo proprio fortunati. Grazie "nonno Mario" per avercelo ricordato, grazie legge Biagi, pacchetto Treu e troika confederale per aver reso tutto questo possibile. 

Andate a cagare, di tutto cuore.

giovedì 2 febbraio 2012

A proposito di bavagli sulla rete

In questi ultimi tempi il dibattito - online e non solo - sulla libertà della rete è stato più acceso che mai. Il rischio che negli States vengano approvate delle leggi liberticide come il SOPA (Stop Online Piracy Act) e il PIPA (Protect Ip Act), il blitz federale che ha portato alla chiusura di Megaupload e i blocchi preventivi di siti come FileSonic o Fileserve, dimostrano una volta di più una delle debolezze intrinseche alla rete: la sua estrema vulnerabilità agli attacchi provenienti tanto dalle lobby, quanto dai  singoli Stati. Per quanto la rete sia "libera" dobbiamo pur sempre ricordarci che è costantemente monitorata e che basta veramente poco per limitarne o precluderne l'accesso. Pensiamo ai paesi dell'ex blocco sovietico - Bielorussia, Tagikistan, Uzbekistan, ecc. - in cui spesso esiste un solo provider di proprietà dello Stato, oppure a paesi come Iran, Arabia Saudita, Siria e Cina  dove la rete è pesantemente censurata.

Proprio in questi giorni sia Twitter che - ahimè - Blogger hanno annunciato che introdurranno alcune limitazioni alla libertà di espressione: la censura, in parole povere. Le due piattaforme hanno infatti deciso di rendere possibile il blocco dei contenuti anche a livello locale, ovvero in un singolo paese. Detto in soldoni, se Tizio scrive un post con contenuti che il governo cinese considera sgradevoli, il suo post sarà visibile in tutto il mondo meno che in Cina. Le due aziende parlano di "adattarsi alle differenti idee sulla libertà di espressione", ma a me sembra soltanto una genuflessione ai regimi, oltre che un pericolosissimo precedente. Chi stabilirà cosa può essere pubblicato e cosa no? Chi controllerà i controllori? Qualcuno, evidentemente, non si è posto queste domande e se lo ha fatto avrà pensato che "business is business" e che quattro cyber-dissidenti non valgono una mancata espansione del mercato.

Eppure in tutte queste tenebre c'è anche un piccolo spiraglio di luce. La Camera ha infatti cassato l'emendamento alla norma comunitaria presentato dal leghista Giovanni Fava (nomen omen!). Tale emendamento prevedeva l'obbligo da parte dei provider di rimuovere qualsiasi contenuto ritenuto illecito oppure offensivo. E chi avrebbe mai stabilito la liceità o meno di una pagina web o di un post? Lo stesso richiedente della censura. Bene, per il momento possiamo tirare un piccolo sospiro di sollievo...